Le parti contraenti il contratto di agenzia possono introdurre una clausola in forza della quale l’agente risponde, entro limiti definiti specificamente, della solvibilità dei clienti con i quali è entrato in contatto mediante rilascio, in favore del preponente, di altre provvigioni per un importo corrispondente a tutta ovvero ad una parte della perdita subita dal preponente, in conformità ai limiti contrattualmente previsti.
Tale garanzia viene definita star del credere. In realtà questa forma di garanzia, è prevista, in maniera specifica, soltanto per il contratto di commissione.
L’art. 1736 c.c., infatti, prevede che “Il commissionario che, in virtù di patto o di uso, è tenuto allo ‘star del credere’ risponde nei confronti del committente per l’esecuzione dell’affare. In tal caso ha diritto, oltre che alla provvigione, a un compenso o a una maggiore provvigione, la quale, in mancanza di patto, si determina secondo gli usi del luogo in cui è compiuto l’affare. In mancanza di usi, provvede il giudice secondo equità”.
Sull’applicabilità della citata norma al contratto di agenzia, la giurisprudenza non è concorde.
Le più recenti sentenza della Suprema Corte sul punto, hanno rilevato che al contratto di agenzia non può applicarsi, in via analogica, l’art. 1736 c.c., disciplinante l’istituto dello star del credere relativamente al contratto di commissione, poiché la responsabilità dell’agente per lo “star del credere” è disciplinata in modo specifico dall’accordo economico collettivo 20 giugno 1956, reso obbligatorio erga omnes D.P.R. 16 gennaio 1961 n. 145 (che limita la responsabilità dell’agente senza ulteriore compenso al 20% della perdita subita dal preponente), ovvero dalla più favorevole disciplina posta nei successivi accordi collettivi del settore (qualora le parti vi abbiano aderito), i quali adottano il più ristretto limite del 15% (Cass. 12879/99; Cass 6647/97; Cass. 2749/96). Le citate sentenze rappresentano, per un certo aspetto, un’inversione di tendenza rispetto al precedente orientamento della Suprema Corte la quale, in passato, ebbe a propendere per l’applicabilità dell’art. 1736 c.c.
« La mancata indicazione in un contratto di agenzia con “star del credere” di una provvigione a tal titolo, provvigione prevista invece nell’art. 1736 c.c. per lo “star del credere” del commissionario, non esclude che l’agente possa pretendere per il suo “star del credere” un compenso basato sul disposto dell’art. 1736 c.c.: tale diritto deve affermarsi ove il contratto di agenzia rinvii per i punti non espressamente regolati alla disciplina legale, essendovi in questa la norma dell’art. 1746 comma 2 nel cui richiamo deve ritenersi compreso l’art. 1736 citato ».
(Cass. 14.6.1991, n. 6741, RDCo, 1992, II, 369).
In realtà, da un’attenta lettura delle sentenze citate, sembra possibile giungere ad una soluzione di compromesso.
Da un lato, infatti, la Corte di Cassazione esclude la derogabilità degli accordi economici sotto l’aspetto quantitativo della responsabilità dell’agente in ordine alle perdite subite dal preponente per il mancato esito dell’affare.
Nulla emerge, invece, in ordine all’applicabilità, al contratto di agenzia, dell’art. 1736 c.c. dal punto di vista della possibile previsione dello star del credere anche in tale tipologia contrattuale.
In proposito, la Suprema Corte ha implicitamente riconosciuto tale applicabilità, riportandosi al richiamo compiuto dall’art 1746, 3° comma II parte il quale, fermo restando il divieto di sottoscrivere patti che pongano a carico dell’agente una responsabilità, anche solo parziale, per l’inadempimento del terzo, riconosce e consente alle parti di concordare di volta in volta la concessione di una apposita garanzia da parte dell’agente, purché ciò avvenga con riferimento a singoli affari, di particolare natura ed importo, individualmente determinati; precisa poi la medesima norma che l’obbligo di garanzia assunto dall’agente non deve superare l’ammontare della provvigione che per quell’affare l’agente medesimo avrebbe diritto a percepire.