L’installazione di telecamere di videosorveglianza da parte di privati cittadini o aziende è un fenomeno in costante crescita, spinto dall’esigenza di proteggere la propria abitazione, il negozio o l’ufficio da furti, atti di vandalismo o intrusioni indesiderate. Accade però con notevole frequenza che tali dispositivi non si limitino a inquadrare l’area di pertinenza del proprietario, ma vadano a riprendere anche luoghi pubblici come strade, marciapiedi, parcheggi o perfino porzioni di immobili adiacenti appartenenti a terzi. Questa prassi è oggetto di una disciplina rigorosa da parte del Regolamento UE 2016/679 (GDPR), del Codice in materia di protezione dei dati personali e delle pronunce del Garante per la Protezione dei Dati Personali, nonché della giurisprudenza civile e amministrativa. Il principio cardine, in linea generale, vieta ai privati di filmare stabilmente aree pubbliche, salvo eccezioni strettamente giustificate. L’interesse alla sicurezza, per quanto legittimo, non rappresenta di per sé un passe-partout in grado di annullare le tutele connesse alla riservatezza e alla libertà di circolazione dei cittadini.
Occorre innanzitutto chiarire che la ripresa di un luogo aperto al pubblico, compresi marciapiedi o strade, si configura come trattamento di dati personali, giacché le persone che transitano nell’area videosorvegliata vengono inevitabilmente riprese e potenzialmente riconosciute. La legittimazione a procedere con una simile forma di controllo è solitamente riconosciuta alle autorità pubbliche, come i Comuni o le Forze dell’Ordine, che agiscono in forza di specifiche previsioni normative in materia di sicurezza urbana o prevenzione di reati. Un soggetto privato, al contrario, deve limitare l’inquadratura alla propria sfera di pertinenza, definita come l’insieme degli spazi di cui ha la disponibilità esclusiva, evitando accuratamente di estendere la sorveglianza a zone non di sua competenza. La collocazione corretta di una telecamera prevede che essa si concentri sull’interno di un’abitazione, di un negozio, di un giardino o di un cortile di proprietà, escludendo con un opportuno orientamento dell’obiettivo qualunque area pubblica o di proprietà di terzi. Per ridurre al minimo i rischi di ripresa indesiderata si raccomanda l’uso di angolazioni specifiche oppure l’adozione di funzioni di mascheratura digitale, che consentono di oscurare permanentemente le parti non rilevanti per la finalità di sicurezza.
Il GDPR richiede di rispettare alcuni principi chiave affinché un sistema di videosorveglianza possa considerarsi lecito. Il principio di liceità esige l’esistenza di una base giuridica valida, generalmente riconducibile al legittimo interesse del titolare a proteggere i propri beni, pur sempre bilanciato con i diritti e le libertà degli individui che transitano nelle vicinanze. Il principio di finalità impone che la sorveglianza sia davvero destinata alla protezione della proprietà, e non a scopi come la mera curiosità, il controllo dei vicini o altre forme illecite di interferenza nella sfera altrui. Il principio di necessità stabilisce che tale misura debba essere strettamente indispensabile e non sostituibile con opzioni meno invasive (come sistemi di allarme, porte blindate o illuminazione adeguata), mentre la proporzionalità impone che l’angolo di ripresa non risulti eccessivo rispetto alla finalità dichiarata e non includa ampi tratti di suolo pubblico o aree comuni di condominio, se non si dispone di un’autorizzazione specifica. La minimizzazione dei dati raccolti, infine, prescrive di limitare le riprese all’essenziale per prevenire o documentare eventuali illeciti, escludendo tutti i contesti non strettamente necessari.
Quando, nonostante queste regole, la telecamera privata inquadra parti sostanziali di strade e marciapiedi, il trattamento dei dati personali relativi ai passanti si configura come illecito. Il Garante per la Protezione dei Dati Personali e la giurisprudenza italiana hanno ribadito in più occasioni l’obbligo di ridurre l’area di ripresa, eventualmente anche con la mascheratura delle porzioni di suolo pubblico che rientrano nell’inquadratura, se l’impianto non può essere orientato diversamente. Le eccezioni che consentono a un privato di filmare un piccolo tratto di suolo pubblico si riconoscono soltanto in casi particolari, come la presenza di un rischio oggettivo, concreto e documentato (ad esempio ripetuti episodi di furti o vandalismi dimostrati da denunce e referti di polizia). In ogni caso, anche in tali situazioni eccezionali, si richiede di limitare la ripresa alla fascia di strada strettamente necessaria a tutelare l’ingresso dell’immobile, senza estendere il campo visivo a un intero marciapiede o a un parcheggio pubblico.
Al di là dell’angolo di ripresa, esiste anche un obbligo di trasparenza informativa. Il titolare del trattamento deve posizionare un cartello che avvisi chiaramente della presenza di telecamere prima che la persona entri nel raggio di ripresa, rimandando a un’informativa più dettagliata in cui figurino i riferimenti del titolare, la finalità del trattamento, le modalità di conservazione delle immagini e i diritti esercitabili dall’interessato. L’assenza di un’adeguata segnalazione costituisce una violazione ulteriore della normativa sulla protezione dei dati personali.
Le sanzioni previste per chi ignora queste regole possono essere significative. Il Garante Privacy, su segnalazione di chiunque si ritenga leso dall’impianto di videosorveglianza, può avviare un’istruttoria, ordinare la rimozione o il riposizionamento delle telecamere, disporre l’oscuramento dei filmati illecitamente raccolti e imporre multe che nei casi gravi possono raggiungere importi notevoli. Inoltre, il soggetto ripreso indebitamente può agire in sede civile per ottenere la cessazione delle riprese e, eventualmente, il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti. In casi estremi, quando l’installazione si inserisce in un comportamento persecutorio o invasivo della sfera di vita privata, potrebbe addirittura configurarsi la responsabilità penale per reati come le interferenze illecite nella vita privata, se le riprese riguardano luoghi di privata dimora, o il delitto di stalking nel caso di condotte reiterate volte a molestare la vittima.
Chi intende opporsi alla presenza di una telecamera del vicino che inquadra la propria finestra, il giardino o un tratto di strada antistante alla propria abitazione, può tentare un dialogo diretto, chiedendo un riposizionamento del dispositivo entro confini leciti. Qualora non si ottenga collaborazione, è possibile inoltrare una diffida formale, anche a mezzo di un legale, intimando la cessazione dell’illecito. Resta poi la possibilità di segnalare o reclamo al Garante per la Protezione dei Dati Personali, corredando la richiesta di prove (fotografie o riprese che mostrano l’area inquadrata). In caso di persistenza della violazione, si può agire in sede civile per far accertare l’illegittimità del trattamento e per ottenere l’ordine di rimuovere l’impianto, riposizionarlo correttamente o oscurare determinate zone, oltre a un eventuale risarcimento del danno.
È infine importante evidenziare che le regole qui illustrate si riferiscono ai privati. Gli enti pubblici, come il Comune o le Forze dell’Ordine, possono installare telecamere su aree di pubblico transito per ragioni di sicurezza, gestione del traffico, monitoraggio ambientale o prevenzione di illeciti. In tale scenario, essi agiscono in forza di disposizioni di legge o regolamenti specifici e, pur essendo anch’essi soggetti ai principi di liceità, proporzionalità e trasparenza, hanno una legittimazione più ampia rispetto ai privati. Ciononostante, non è escluso che un cittadino possa contestare l’eccessiva estensione della videosorveglianza pubblica se la ritiene ingiustificata o sproporzionata, rivolgendosi al Garante o, in ultima analisi, al giudice competente. L’importanza di questa disciplina risiede nel bilanciamento tra l’esigenza di sicurezza e la tutela di diritti fondamentali come il diritto alla riservatezza, la libertà di movimento e la dignità delle persone. La responsabilità di chi installa telecamere consiste quindi nel predisporre le soluzioni tecniche e organizzative più adeguate per salvaguardare il proprio patrimonio limitando al minimo la raccolta di dati relativi a soggetti estranei.