Per chi corona il proprio sogno di comprare casa, dopo estenuanti ricerche, una volta trovata quella che sembra perfetta, svolti tutti i preliminari del caso ci si ritrova al fatidico giorno del rogito, eppure qualcosa potrebbe andare storto: la mappa catastale potrebbe infatti non corrispondere alla realtà della casa.
In realtà questo tipo di inconveniente è abbastanza diffuso, ed è causato da una certa confusione della normativa vigente in Italia.
Il primo pensiero, in questi casi, è rivolto ad un eventuale abuso; ma non è così. Nella maggior parte dei casi infatti il problema deriva da una serie di leggi che si intrecciano tra loro e che si sono accumulate col tempo.
Infatti, l’articolo 26 della legge 47/85 stipulata all’epoca del primo condono edilizio, obbligava a registrare al catasto le opere interne agli appartamenti; per evitare intasamenti negli uffici, però, fu emanata una circolare con la quale veniva precisato che non andavano denunciate le opere che non apportavano mutamenti della consistenza o nell’attribuzione della categoria di classe, come ad esempio l’apertura di una porta o lo spostamento di pareti che non avessero conseguenze ai fini fiscali.
Successivamente, anche se la vecchia circolare resta tutt’ora in vigore, il Decreto Legislativo 78/10 ha stabilito che al momento del rogito, i venditori degli immobili debbano dichiarare sia i dati catastali sia la rispondenza allo stato di fatto della planimetria.
Dunque, in attesa di leggi che risolvano queste incongruenze, l’onere della responsabilità della garanzia di rispondenza tra quanto presente sui dati catastali e quelli dell’immobile di fatto, spetta al venditore con pena la nullità dell’atto; sarebbe comunque consigliabile che anche l’acquirente verifichi la corrispondenza tra le planimetrie presenti al catasto e quelle reali dell’immobile.