Da buon garzone quale sono, continuo ad osservare cercando di carpire quanto più possibile dalle varie letture e dai vari siti internet che fortuna vuole siano dedicati al trading e agli investimenti in generale
Progressivamente conosco nuovi elementi e per la verità passa sempre un po’ di tempo prima che dia loro il giusto peso.
Così è stato anche per la volatilità, per il volume e per l’open interest.
Volatilità e volumi sono riscontrabili con maggiore frequenza perché rappresentano una costante negli investimenti.
Discorso differente per l’open interest, un indicatore tipico dei future, che indica generalmente la somma di tutte le posizioni che rimangono aperte sullo strumento per un certo intervallo di tempo.
Per chi volesse farsi un’idea, sul sito della Cassa di compensazione e Garanzia, è possibile controllare l’open interest e la percentuale di variazione sul future e minifuture sull’Spmib addirittura di minuto in minuto.
Personalmente, considero il dato esclusivamente nei momenti “caldi” o a fine giornata.
Generalmente, un aumento dell’open interest accompagnato da scarsi volumi determina una divergenza che lascia presupporre aspettative differenti da parte dei partecipanti al mercato, preannunciando una probabile fase di congestione delle quotazioni.
Per quanto riguarda il volume sappiamo bene che avvalora in qualche modo i movimenti borsistici ed è facile considerarne tutti gli aspetti in momenti particolari della giornata di contrattazione, spesso nei momenti in cui, frequentemente verso le 14.30 o le 16.00, dagli Stati Uniti provengono notizie di carattere macroeconomico che spesso innescano fasi repentine al rialzo o al ribasso, anche dopo ore di lateralità.
Spesso mi è capitato di osservare titoli molto liquidi, come Eni, reagire con movimenti legati a ottimi volumi, capaci sempre di bucare la resistenza o il supporto di brevissimo (e parliamo di supporti o resistenze su grafici a 5 minuti).
E la volatilità?
Ammetto di non averle mai dato particolare peso, fino a quando non ho scoperto che misurandola avrei potuto determinare particolari aspetti di money managment legati al mio trading system, in grado di tranquillizzarmi ulteriormente e di permettermi di affrontare con metodo ancor più definito i miei investimenti.
La volatilità storica, da non confondersi con la volatilità implicita, altro non è che il calcolo della deviazione standard di una serie di rendimenti per un determinato intervallo di tempo.
La volatilità permette di valutare in particolare il grado di rischio insito nello strumento di investimento nel periodo t.
Per gli amanti delle formule e di excel:
Calcolo del rendimenti logaritmici =LN (P (t) / P (t-1))
Ipotizzando di avere in colonna B del nostro foglio excel le chiusure avremo quindi
Calcolo del rendimenti logaritmici =LN (b2 / b1)
A questo punto, potremo calcolare la deviazione standard come di seguito.
Deviazione standard =RADQ((SOMMA.Q(c3:c52)/50))*RADQ(252)
In questo caso, la deviazione standard, che verrà calcolata in colonna d, viene annualizzata moltiplicando il suo valore per la radice quadrata di 252, corrispondente ai giorni di borsa aperta e, nel caso specifico, il periodo di osservazione è di 50 giorni.
Presto vi parlerò del metodo di money managment “percent volatility model”, che è legato appunto alla volatilità e che adotto per decidere i quantitativi da inserire negli ordini quando intravedo una possibile entrata a mercato.